di Apostolos Apostolou
Possiamo dire che esiste nella teoria della politica il termine Super-io? Il termine Super-io, si origina dalla interiorizzazione dei codici di comportamento, divieti, ingiunzioni, schemi di valore (bene/male; giusto/sbagliato; buono/cattivo; gradevole/sgradevole). Con altre parole l’ordine dello stato come assoluto potere esprime il Super-io. E possiamo allo stesso tempo affermare che esiste l’Io? Se l’Io esprime un equilibrio dinamico con le spinte provenienti dal mondo esterno, nella fraseologia politica, è la sovrastruttura formata da rapporti giuridici, forze politiche, dottrine etiche, artistiche, religiose e filosofiche. Ma l’Io si costituisce come risultato della mediazione dell’Altro, dell’immagine dell’Altro che è il desiderio che sta «al di là della domanda » che dà un senso. Qui abbiamo nella teoria politica la ricerca dell’utopia fluida, che richiede cura e attenzione costanti.
Il Super-io, rappresenta il potere assoluto, e non è solo l’assolutismo monarchico, fenomeno politico del XVII secolo, dove lo stato s’identifica con il monarca, ma è anche lo stato burocratico, la forza delle armi, il potere che controlla la televisione che crea le mitologie del momento. Il potere deve essere assoluto. Se non è assoluto, non è sovrano. Sovranità e assolutezza sono “unum et idem” come diceva Hobbes (Leviathan 1651). E Machiavelli scrive: “Tutti gli stati, tutti i domini che hanno avuto e hanno imperio sopra li uomini, sono stati e sono o repubbliche o principati” (Il Principe). Anche Bodin credeva che il potere sovrano per essere tale dovesse essere “legibus solitus”. In linea con lo stesso pensiero è la “dittatura del proletariato” o “dittatura rivoluzionaria del proletariato” intesa come una misura politica temporanea necessaria per la transizione al comunismo compiuto, una fase dove il potere proletario avesse avuto modo di agire liberamente nel riorganizzare i rapporti di proprietà e di produzione della società capitalista, con necessari interventi dispotici qualora la situazione lo avesse richiesto.
La politica è l’economia del desiderio o possiamo dire in altre parole che il desiderio è la più efficace motivazione all’agire creativo della politica. Lacan descrive il desiderio come “vita immortale, vita incomprimibile, vita che non ha bisogno di alcun organo, vita semplificata, e indistruttibile”. (C’est la libido, en tant que pur instinct de vie, c’est-a-dire de vie immortelle, de vie irrépressible, de vie qui n’a besoin, elle, d’aucun organe, de vie simplifiée et indestructible. Lacan, Le Séminaire XI, p, 180) il desiderio che ci porta fuori da noi, ed educare alla libertà è fondamentale per creare “uomini liberi che deliberano come organizzare la loro vita insieme. L’insieme costituisce l’unica possibilità perché la nostra relazione con il mondo abbia una reciprocità. Nell’insieme diviene il “significato” della vita, la risposta sensibile al desiderio più profondo e imperioso della nostra vita. Il punto nodale nel quale si costituisce l’origine razionale del soggetto umano è l’insieme. Già a livello del lìbito s’intrecciano le referenzialità, leggi di natura come il mirare, o il desiderio alla vita come relazione, cioè come libertà. E la libertà è la sostanza della politica. La libertà è la pulsione e come dice Lacan: “La pulsion saisissant son objet apprend en quelque sorte que ce n’est justement pas par là qu’elle est satisfaite” (Lacan, Le Séminaire, p. 153), cioè: la pulsione afferrando il suo oggetto apprende che non è precisamente da esso che è soddisfatta.
Vivere insieme è un punto di arrivo. Un punto del desiderio e questo lo aveva capito molto bene Pericle. “Noi abbiamo una forma di governo che non guarda con invidia le costituzioni dei vicini, e non solo non imitiamo altri, ma anzi siamo noi stessi di esempio a qualcuno. Quanto al nome, essa è chiamata democrazia, poiché è amministrata non già per il bene di poche persone, bensí di una cerchia piú vasta: di fronte alle leggi, però, tutti, nelle private controversie, godono di uguale trattamento; e secondo la considerazione di cui uno gode, poiché in qualche campo si distingue, non tanto per il suo partito, quanto per il suo merito, viene preferito nelle cariche pubbliche; né, d’altra parte, la povertà, se uno è in grado di fare qualche cosa di utile alla città, gli è di impedimento per l’oscura sua posizione sociale.” (Tucidide, La guerra del Peloponneso, Mondadori, Milano, 1971, vol. I, pag. 125). Il desiderio è un esilio, il desiderio è un deserto che attraversa l’insieme. Ecco come descrive Pericle la politica: “Qui ad Atene noi facciamo così. Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così. Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento. Qui ad Atene noi facciamo così. La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private. Qui ad Atene noi facciamo così. Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa”. (Pericle – Discorso agli Ateniesi 461.a.c)
Cioè, scoprire dietro il fantasma individuale la natura dei rapporti sociali. Spingere (possiamo dire con altre parole) il simulacro fino al punto in cui cessa di essere immagine d’immagine per trovare le figure astratte che esistono nella politica. Sostituire al soggetto privato della castrazione, il soggetto d’enunciato e il soggetto d’enunciazione. Riversare il teatro della rappresentazione nell’ordine della produzione desiderante
Apostolos Apostolou. Docente di filosofia.